shutterstock_193036466L’inguaribile ottimista. Tutti noi ne conosciamo almeno uno, perché in ogni compagnia, classe, ufficio, c’è l’”inguaribile ottimista”. Quello che davanti a un meteorite che sta per schiantarsi sulla Terra dice con un sorriso (sincero: l’ottimista non finge!): <<Tranquillo, vedrai che prima o poi tutto torna a posto>>. Tutti noi l’abbiamo ammirato, a volte anche invidiato per quell’assenza cronica di stress. E tutti almeno una volta ci siamo chiesti: <<Ma come fa ad essere così fiducioso?>> Bene, ora forse come fa l’ottimista a essere così com’è, cominciamo a capirlo.

Uno studio, realizzato da un team di ricercatori dell’University College di Londra e pubblicato recentemente sulla rivista Nature Neuroscience, ha svelato che negli ottimisti i lobi frontali, l’area del cervello deputata al processamento degli errori e alla valutazione e previsione degli eventi futuri, seleziona solo le informazioni positive ignorando sistematicamente gli input negativi. Insomma, semplificando, quando i dati che arrivano dall’esterno non promettono niente di buono il cervello di chi vede sempre il bicchiere mezzo pieno, smette di lavorare. Proprio così.

L’esperimento. Gli autori della ricerca per arrivare a queste conclusioni hanno reclutato 19 volontari e valutatane l’indole li hanno divisi in ottimisti e pessimisti. In seguito, mentre il loro cervello veniva monitorato con risonanza magnetica, a tutti quanti, ottimisti e pessimisti, hanno proposto un’ottantina di ipotetici scenari spiacevoli o anche tragici: dalla disoccupazione, alla povertà, alla malattia.

Poi, per ogni situazione prospettata i ricercatori hanno chiesto a ognuno di azzardare una percentuale che indicasse quale fosse a loro giudizio la possibilità che l’evento negativo potesse effettivamente capitargli.

Ottenute le risposte hanno comunicato a tutti i valori reali, statisticamente valutati della possibilità di essere effettivamente licenziati, di cadere in miseria, di ammalarsi, ecc.. quindi hanno chiesto di nuovo a pessimisti e ottimisti di esprimersi sulle probabilità che, a loro giudizio, ciascuno scenario negativo si verificasse, questa volta però alla luce delle informazioni appena apprese.

Il risultato è stato che gli ottimisti una volta messi al corrente della realtà tendevano sì a modificare le loro risposte, ma attenzione: solo se le percentuali reali di ammalarsi, perdere il lavoro ecc…erano migliori (cioè più favorevoli per loro) di quelle che avevano immaginato in precedenza. In caso contrario, cioè se le percentuali comunicate dai ricercatori erano peggiori, cioè svantaggiose per loro, gli ottimisti, semplicemente i valori reali non li immagazzinavano.

Con risonanza magnetica i neuroscienziati sono risaliti alla ragione anatomica di questo bizzarro rifiuto della dura realtà. In particolare hanno visto che in tutti i partecipanti allo studio, ottimisti e pessimisti, quando i dati reali erano migliori, più “rosei” per così dire di quelli ipotizzati, aumentava l’attività dei lobi frontali. Ma quando le notizie più recenti erano sfavorevoli si registrava un’intensa attività solo nel cervello dei pessimisti, mentre negli ottimisti i segnali emessi erano sensibilmente più deboli. Riassumendo: il cervello degli ottimisti aggiornava i dati solo se erano più positivi dei precedenti e delle aspettative. In caso contrario rimaneva impermeabile.

Beati loro, si potrebbe dire, che registrano la vita vera solo quando gli conviene. Vivono più tranquilli e rischiano anche meno di ammalarsi di tutte quelle patologie stress-correlate, a cominciare dall’ansia per finire alla psoriasi, tipiche di chi si arrovella ogni giorno barcamenandosi tra pensieri tristi e sensazioni di panico. Ma è davvero così? Sono davvero sempre fortunati gli ottimisti? Sì e no. Essere positivi al di là di ogni ragionevolezza – dicono gli stessi autori della ricerca – non incentiva comportamenti precauzionali. In pratica: perché smettere di fumare se il cancro a me non verrà mai? Perché allacciare le cinture di sicurezza se gli incidenti sono così rari? Perché praticare sesso sicuro se di hiv-positivi in fondo ce n’è in giro così pochi?

Beh, in effetti, forse, ogni tanto, vedere il bicchiere mezzo vuoto, o almeno un po’ vuoto, fa bene. Anche alla salute.